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LA FONDAZIONE DI SAN FERDINANDO

All'indomani del sisma del 1783, la piana di Rosarno era diventata una distesa di malsani acquitrini. Il dilagare della malaria aveva in breve tempo decimato la popolazione. Vani i tentativi del Comune di Rosarno e dello stato Borbonico di salvare l'area, del tutto disabitata già nei primi anni dell'Ottocento.

La situazione in cui versava la Piana di Rosaro era nota al generale Vito Nunziante, dal momento che fin dal 1817, in qualità di commissario civile per la Calabria e la Basilicata, aveva presentato un rapporto al governo borbonico, proponendone la bonifica. Ottenuto il consenso nel 1818, il Nunziante si impegnava a bonificare una vasta zona litoranea dell'agro di Rosarno situata alla sinistra del fiume Mesima. Si trattava di lavori imponenti per quell'epoca che il generale doveva eseguire a proprie spese, nel termine di cinque anni; se ciò non fosse avvenuto, le terre sarebbero ritornate al comune insieme ad un risarcimento per le rendite perdute. Il capitolato d'appalto prevedeva l'arginatura del Mesima per la lunghezza di circa un chilometro per impedire che le acque allagassero la pianura circostante e il prosciugamento degli acquitrini mediante l'apertura di canali. Come compenso il marchese Nunziante avrebbe ottenuto tre quarti delle terre demaniali prosciugate, mentre un quarto sarebbe rimasto al comune.

FIUME MESIMA

Nel corso del 1822 e con anticipo rispetto ai tempi previsti dal contratto di appalto, le opere di bonifica furono completate. Il 4 luglio dello stesso anno veniva eseguita la suddivisione delle terre bonificate. Al Nunziante toccarono 1300 tomolate che si estendevano nella piana verso il mare, fino al confine del Comune di Gioia. In mancanza di manodopera per completare l'impresa il generale borbonico reclutò un discreto numero di "vanghieri" nel cosentino, che furono alloggiati in baracche ed in un'antica torre aragonese che sorgeva nelle vicinanze del fiume Mesima. A questi si unirono i primi coloni provenienti dai casali di Tropea e dai villaggi del Monte Poro.

Il crescente numero di manod'opera spinse il Nunziante a progettare fin dal 1830 la costruizione di abitazioni in una zona salubre sulla costa. Presente sul campo, il generale partecipò personalmente alla realizzazione dei lavori, coinvolgendo botanici e geologi di fama internazionale. Progettò il villaggio di San Ferdinando secondo un preciso disegno: una via principale delimitata ai due estremi dal palazzo padronale e dalla chiesa, e ai suoi lati le fila di casette destinate agli operai, cui si erano aggiunte presto delle più misere ‘pagliare’. Già nel 1830 il villaggio ospitava un centinaio di residenti, tra i quali un medico e un sacerdote, oltre ad un piccolo numero di artigiani.

PALAZZO NUNZIANTE

Per la costruzione del villaggio il generale Vito Nicola Nunziante (1775 - 1836) ottenne dal governo borbonico il nulla osta per potersi avvalere dell'opera dei cosiddetti "servi di pena", condannati per delitti comuni o politici, che avessero dimostrato buona condotta. Il generale si impegnava a corrispondere loro un salario e un alloggio, garantendo al governo di pagare una penale per ogni evaso. Per l'edificazione del villaggio, localmente noto come "Casette", per via delle tipiche abitazioni piccole e basse, il Nunziante fece arrivare grossi quantitativi di pietra lavica e di tufo da Lipari, Stromboli e Vulcano, servendosi inoltre del supporto di marinai siciliani, molti dei quali rimasti a vivere poi a San Ferdinando.

Con decreto reale nº 597 del 28 ottobre 1831 la nuova borgata venne eretta a villaggio del Comune di Rosarno e battezzata ufficialmente "San Ferdinando", in onore a Ferdinando IV di Borbone, che ne aveva sponsorizzato lo sviluppo.
Grazie alla consulenza del botanico Guglielmo Gasparrini, e di altri importati esperti del settore, il generale Vito Nunziante riuscì ad introdurre nei terreni bonificati nuove colture, come quelle del "sammaco", da cui ricavare tannino, della "robbia", le cui radici erano utilizzate come colorante, e della robinia, particolarmente ricercata in ebanisteria.  

GUGLIELMO GASPARRINI

Furono inoltre impiantati vigneti, uliveti ed agrumeti; promosse le colture della canapa e del lino, introdotto il gelso per sostenere l'allevamento del baco da seta. L'ardita attività imprenditoriale del marchese Vito Nunziante fu interrotta dalla morte, avvenuta il 22 settembre 1836, a causa di febbri malariche, contratte probabilmente durante i lavori di bonifica della piana di Rosarno.

STEMMA DELLA FAMIGLIA NUNZIANTE

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