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IL MONUMENTO AI CADUTI DELLA GRANDE GUERRA

Il monumento ai caduti di San Ferdinando fu realizzato da Francesco Jerace, (1853 - 1937) uno dei più grandi artisti che la Calabria ricordi. 
L’opera era nata per celebrare contemporaneamente la memoria dei caduti sanferdinandesi del primo conflitto mondiale e del sottotenente di vascello Vito Nunziante, morto eroicamente l’11 dicembre del 1916, nell’affondamento della nave Regina Margherita. 

E’ proprio il giovane ufficiale, medaglia d’argento al valor militare per aver sacrificato la sua vita per gli altri, ad essere rappresentato nel bronzo che si staglia sull’alto basamento in pietra di Trani, sui cui prospetti laterali sono incisi i nomi dei 49 caduti di San Ferdinando.

SPINELLI GAETANO GIUSEPPE - CADUTO SANFERDINANDESE DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE

Il sottotenente di vascello, morto a soli 22 anni, era l’unico erede maschio di Ferdinando Nunziante (1863 - 1941), discendente del famoso generale borbonico Vito Nunziante, noto alla storia non soltanto per aver condannato a morte Gioacchino Murat, ma anche per aver bonificato la Piana di Rosarno e fondato, negli anni venti dell’Ottocento, il borgo di San Ferdinando.

Il recente restauro ha riportato alla luce, alla base della scultura, sia la firma dell’autore sia l’anno di esecuzione: il 1920. Tale datazione lascia intendere che il bronzo di San Ferdinando fu tra i primi monumenti ai caduti ad essere stato progettato per una committenza Calabrese. 

Tuttavia si dovette attendere altri sei anni per veder terminata l’impresa, installata sul fianco destro dell’ottocentesca chiesa di San Ferdinando, non distante dall’antica residenza dei Marchesi Nunziante, oggi occupata dal Palazzo Comunale.

A commissionare il monumento fu con ogni probabilità il comune di Rosarno, grazie ad una sottoscrizione pubblica da parte degli abitati di San Ferdinando, all’epoca frazione del vicino centro della Piana di Gioia Tauro. A promuoverne la realizzazione contribuì certamente Luigi Nunziante, in quegli anni sindaco di Rosarno, nonché zio del defunto sottotenente Vito, figlio del fratello Ferdinando Nunziante (1863 - 1941), uomo di stato e di governo.

FERDINANDO NUNZIANTE (1863 - 1941)

Ai Nunziante si deve quindi attribuire sia la scelta dell’esecutore dell’opera, ricaduta non a caso su uno dei più noti artisti del momento, sia l’impostazione generale del monumento, destinata a saldare il dolore della famiglia Nunziante a quello dell’intera comunità di San Ferdinando, ferita dalla scomparsa dei 49 caduti della Prima Guerra Mondiale. 

Contenitore del dramma di un interno borgo, l’opera di Jerace finì ben presto per diventare il simbolo identitario di San Ferdinando, rinsaldando, in modo ancora più incisivo, il legame tra i Nunziante e la comunità della piccolo centro calabrese.

Nel 1932, a seguito della riedificazione dell’antica chiesa di San Ferdinando il monumento fu trasferito nel punto dove si trova attualmente. Lo spostamento non comportò sostanziali modifiche all’opera, collocata all’interno di un’aiuola, delimitata da piccoli obelischi, sostituti negli anni Sessanta dagli attuali pilastrini ottagonali.

Jerace scelse per il monumento di San Ferdinando un’impalcatura tradizionale, composta da una statua in piedi su un basamento quadrangolare, a sua volta poggiante su una breve gradinata. Interpretò però l’impostazione classica con un linguaggio nuovo, facendo dialogare il bronzo con lo spazio circostante, grazie ad un gioco di equilibri dinamici contrapposti, compenetrazioni di volumi, accesi contrasti chiaroscurali. Il risultato fu un monumento aperto, animato dal movimento, dall’attenzione all’episodio celebrativo, dall’interiorità del personaggio rappresentato.

Il sottotenente Vito Nunziante avanza fiero, mentre sorregge con la destra l’asta della bandiera del regio esercito che lo avvolge quasi per interno come fosse un sudario. Con l’altra mano stringe il vessillo portandolo al petto, a rimarcare il senso del dovere, il suo coraggio nell’aver lasciato la nave per ultimo, dopo aver ammainato la bandiera e soccorso l’equipaggio.

L'allusione all’estremo sacrificio, all’amore per la Patria pervade l’intera opera, la cui conformazione verticale, accentuata dal puntale della bandiera, conferisce al monumento l’aspetto di un vascello: una nave ancorata ad un porto, richiamato alla mente dalla bitta ai piedi dell’Ufficiale, simbolo della sua carriera militare, presso l’Accademia Navale di Livorno, e del tragico momento della sua scomparsa, nelle acque albanesi della baia di Valona.

Nell’opera sono evidenti tutti caratteri della poetica di Francesco Jerace, soprattutto quella sua ricercata capacità di fondere con una nuova armonia l’ideale con il reale, la linea con il sentimento, l’antico classicismo con il verismo. L’artista ne accentua il tono aulico ed elegante sfruttando il contrasto cromatico del bronzo e del chiarore della Pietra di Trani, così come già sperimentato nel 1913 a Campobasso nel monumento a Gabriele Pepe.

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Dalla statua in marmo di Vittorio Emanuele II di Savoia, esposta nel 1888 sulla facciata di Palazzo reale a Napoli, riprende invece l’impostazione della figura con il braccio teso verso l’alto e la mano sinistra al petto. 

Tuttavia la principale fonte d’ispirazione fu il gruppo scultoreo dell’Azione che l’artista polistenese realizzò nel 1911 per il basamento dello scalone del Vittoriano di Roma. L’eco dall’allegoria che avanza con la bandiera e del soldato che le sta accanto, sono evidenti a San Ferdinando nella contrapposizione tra le masse anatomiche protese in avanti e le sagome dei panneggi investite dal vento, elegante metafora sulla potenza del caos, sul senso della vita, sul destino toccato al sottotenente e ai suoi compaesani.

Da un punto di visto tecnico, il bronzo calabrese presenta delle particolari divergenze. Se infatti il capo di Vito Nunziante fu eseguito a getto, in un’unica fusione a cera persa, su un modello in gesso realizzato nei minimi dettagli, il resto della statua fu ottenuta invece assemblando insieme ben 12 elementi in bronzo, saldati tra loro e rifiniti non senza l’ausilio di toppe, necessarie a colmare i vuoti createsi nello strato sottile della lega metallica, dalle superfici grezze e poco rifinite.

Tali discrepanze, originatesi forse dall’impiego di due fonderie distinte, potrebbe motivare la lunga gestazione dell’opera. Tuttavia non è escluso che il diverso trattamento del bronzo sia stato determinato dal modus operandi dell’artista, solito a prestare attenzione alla finitura dei volti, riservando al resto delle opere un più forte impulso creativo, al fine di ottenere un effetto d’insieme mosso e vibrante, capace di dare risalto al dato psicologico, all’aspetto aulico e austero d’insieme, misurato e armonico, di particolare forza ed intensità.

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